Addentrarsi nel complesso e antico mondo delle arti orientali è un crocevia di percorsi che per essere compresi a fondo vanno intrapresi uno alla volta, e per arrivare alla fine di uno solo di essi può essere necessario l’impiego di più di una vita di tempo; ma una cosa mi ha sempre affascinato: mentre se ne percorre uno è possibile intravedere con la coda dell’occhio l’andamento degli altri, a volte al punto da trovare degli snodi, in altri casi perdendoli totalmente di vista.
Eppure ogni strada è destinata a incrociarsi con le altre prima o poi, e così come tutte iniziano da un principio comune, tutte convergono verso lo stesso obiettivo: trovare la pace in se stessi con una disciplina capace di radicarci nella terra da cui originiamo, e al coltempo far crescere i nostri rami oltre i limiti del cielo, trasformandoci nel percorso ultimo.
Una pace che Mombaroccio, con la sua aura medievale che è riuscita a mantenere intatta per secoli fino ai giorni nostri, ci ha permesso di trovare al quadrato: perché se è possibile unire la terra con il cielo, allora lo è anche far convivere i principi salutari dei tempi passati con quelli odierni, e allo stesso modo, grazie alla splendida manifestazione “Porta d’oriente” dell’associazione Rasalila, esportare il complesso di arti e tecniche orientali in una delle roccaforti dell’occidente.
Il pubblico era composto da pochi e attenti elementi, che hanno prima assistito alle spiegazioni teoriche del Kendo da parte del nostro Alberto Montanari seguite dalle dimostrazioni pratiche eseguite da tutti noi; dopodiché ognuno di loro ha potuto provare a tenere la spada, così da passare immediatamente i concetti dalla mente alle mani, e la possibile passione per questa disciplina dagli occhi al cuore.
Se il nostro obiettivo sia andato a buon fine o meno è un interrogativo che si scioglierà nei mesi a venire ma, a prescindere dal fatto che qualcuno di quei volti possa presentarsi nel nostro dojo, mi piace l’idea di aver contribuito a creare un collegamento tra la strada che queste persone stanno intraprendendo con la nostra.
Io stesso sono stato spettatore sia di snodi che di perdite di riferimenti, tra il Kendo – disciplina che pratico da circa un anno – e le altre che sono state presentate dopo.
Di certo una confluenza l’ho trovata nel mokuso del Kung Fu che, a differenza del Kendo viene eseguito in piedi; ma in entrambe le discipline le mani vengono poste una sopra l’altra a formare un triangolo posizionato sulla pancia, epicentro delle energie del corpo.
Un’importante “perdita di riferimenti”, invece, è stata la scoperta che nel Tai Chi vi è un modo di muoversi che predilige il posizionamento del proprio peso sui talloni; a differenza del Kendo dove, per essere sempre pronti allo slancio in avanti, il calcagno del piede sinistro è sempre sollevato, cosicché da tenere il corpo preparata alla spinta.
D’altronde il Tai Chi non mira alla sopraffazione di chi ci oppone, ma ad un utilizzo di tecniche marziali che imitino le funzioni dello Yin e dello Yang: una forza negativa quando il proprio peso è posizionato sul tallone del piede sinistro, che si trasforma in positivo nel movimento verso il destro insieme al sollevamento e alla proiezione in avanti delle braccia, e viceversa, in una gestualità rituale che ibrida il combattimento con la danza.
Siamo partiti, quindi, con la via della spada, passando per arti marziali a mani nude più o meno offensive, per addentrarci infine nelle pratiche spirituali. Tuttavia il viaggio non poteva non concludersi con un momento di svago. Nelle strade della cittadina ci si imbatteva una grande quantità bancarelle: alcune con ninnoli e particolarità orientali, altre proponevano diverse attività; mi sono lasciato guidare dall’intuito e in breve tempo mi sono ritrovato dal visitare una piccola mostra di origami, a realizzarne uno sotto la ligia guida del maestro locale che, con infinita pazienza, correggeva le mie pieghe barbare e la mia delicatezza etrusca. Ne è risultato un gufo un po’ storto, che a mala pena si reggeva in piedi. Ma, dopotutto, il mio animale guida non avrebbe potuto rappresentarmi meglio di così.
Usciamo infine da quelle mura marchigiane, un tempo barriera per i forestieri, oggi epicentro per chi come noi viene da ogni parte del mondo, percorre mille strade, diverse ma parallele e adiacenti. Alcuni intonano kiai, altri fasheng; qualcuno condensa secoli di studio nei Kata, tal altri li chiamano Taiji, ma dietro le parole si nascondono i medesimi valori, trasformate in fatti da chi è capace ora di imparare come un allievo, ora di insegnare come un maestro, e viceversa.
Il resto, in tutti i sensi, è storia.
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