Scoprire il significato profondo delle cose, non smettere mai di cercare di afferrare il senso e di capire il valore intrinseco di un’azione – o di una situazione – e, attraverso questa comprensione, provare a migliorare l’azione stessa aggiungendo di volta in volta un po’ di coscienza e di consapevolezza in più: è quello che ci permette di migliorarci giorno dopo giorno e di vivere le cose con maggiore cognizione, prendendo in mano noi stessi verso un nostro personale e costante percorso di crescita.

Il significato delle parole – e di conseguenza la realizzazione pratica dei concetti che le parole stesse rappresentano – è stato il tema centrale del seminario tenuto da Takuya Murata il 26 febbraio 2023 a Castenaso.

Due in particolar modo le parole (e i concetti) prese in considerazione: semé e tamé.

Semé è un termine che appartiene certamente al vocabolario quotidiano del kendo. Ogni praticante ha sicuramente sentito questa espressione fin quasi dal suo primo giorno di esercizio e, a poco a poco, ha cominciato ad avvicinarsi al suo contenuto e a tentare di interpretarne alcuni aspetti.

Ma siamo sicuri di avere davvero afferrato il concetto nella sua completezza?
O possediamo solo piccoli frammenti di esso?
E quanto di questo concetto così sfaccettato e complesso si concretizza effettivamente nella nostra pratica?

Abbiamo mai provato a fare un elenco di quante e quali sono le cose che possono provocare una reazione in un nostro ‘avversario’?
Potrebbero dirsi infinite, e l’ideogramma del semé, probabilmente, le include tutte.

Murata ha provato a fare una sintesi estrema e lo definisce con 3 P:

  • Pressare
  • Penetrare
  • Provocare

dove, ovviamente, ognuno di questi termini assume una valenza fortemente psicologica, oltre che fisica.

Ma lo scopo qual è?
Ovviamente (o forse non sempre così tanto…), indurre l’avversario a partire per primo perché, come ripete spesso lo stesso Murata parafrasando un antico detto giapponese, chi parte per primo è un uomo morto!

Nella pratica, durante un combattimento (come in qualsiasi ‘duello’ ci troviamo ad affrontare nella vita) dovremmo imparare a “vedere” cosa accadrà, sapere prima come il nostro antagonista si muoverà.
Il termine “vedere” in giapponese si può trascrivere con due differenti ideogrammi: uno rappresenta il “vedere fisico” (che potrebbe corrispondere al nostro “guardare”, il considerare l’esteriorità, ciò che succede relativamente al corpo); l’altro il “vedere prima” o il “vedere dentro” (quello che noi occidentali spesso chiamiamo ‘terzo occhio’). Dobbiamo quindi già “pre-vedere” quale sarà la mossa di chi ci sta di fronte prima che lui stesso decida di tirare il suo colpo. E questo diventa possibile quando, con il nostro semè, siamo stati in grado di indurlo verso l’azione che noi stessi avevamo “pre-visto”. La nostra, quindi, non sarà mai una reazione “di riflesso” a qualcosa che succede all’improvviso e che non ci aspettiamo: non diventa solo una questione di velocità; ma si tratta di una combinazione raffinata e incessante di pressione, penetrazione e provocazione che ci permetta di essere la causa scatenante di un effetto voluto: dobbiamo essere, in ogni momento, i gestori dell’ In-Ga, i creatori del rapporto causa-effetto.

Accade, tuttavia, che il semé del nostro contendente sia della stessa ‘intensità’ del nostro: è abbastanza probabile che la persona che abbiamo di fronte tenti di applicare altrettanta pressione-penetrazione-provocazione creando così una situazione di ‘stallo’. Cos’è, quindi, che farà partire uno dei due prima dell’altro?

La differenza la farà ciò che Murata definisce con tre ‘A’:

  • Accumulare energia
  • Aumentare la sensibilità
  • Accendere (preparare) il corpo

Ovvero il Tamé.

Spesso si parla del Tamé come di una diga che contiene l’acqua che vuole straripare e inondare ciò che gli sta davanti. Tuttavia la metafora della diga restituisce un eccessivo senso di staticità. La capacità di contenere non deve mai essere un muro ‘passivo’ perché nel momento in cui la sua unica funzione diventasse quella di subire inerte la spinta dell’acqua, ne rimarrebbe a sua volta travolto e si disgregherebbe trascinato dalla combinazione di forze che tirano e spingono verso il diventare effetto più che verso l’essere causa. Il Tamè, invece, è una tensione in equilibrio che continua a montare attimo dopo attimo, un arco che si tende impercettibilmente all’infinito senza spezzarsi, un’onda in sospensione che attende il momento giusto per frangersi sull’arena della competizione.

Ma nel kendo (come nella vita, del resto) oltre la comprensione è necessaria la conoscenza perché, come dice Remy de Gourmont (scrittore francese di fine Ottocento) l’intelligenza può essere utile per giudicare un atto, ma perfettamente inutile per compierlo. Per imparare è indispensabile, quindi, calare sempre i concetti e le filosofie nella realtà, farli diventare esperienza pratica.

E così ognuno di questi concetti deve diventare l’idea che guida i nostri passi, le nostre mani, il nostro corpo in ogni situazione, per svegliare e attivare un modo ‘diverso’ e non giudicante di percepire ciò che ci accade intorno; perché su quella via (-do) che abbiamo scelto di seguire, per raggiungere pienamente il risultato che desideriamo ottenere il primo ‘nemico’ da sconfiggere, non è ciò (o chi) ci sta di fronte, ma è sempre in noi stessi, nel nostro cercare di ‘interpretare’ a tutti i costi, nell’incapacità di vivere ‘semplicemente’ appieno ogni cosa.

II semé e il tamé – così come tutti gli altri concetti che incontriamo nel Budo – più che ‘compresi’ con l’intelletto vanno quindi esplorati e praticati in prima persona, in ogni momento: nei katà così come nel jigeiko, in uno shiai così come nello studio di una tecnica, nel nostro dojo così come nel nostro vivere quotidiano.

Leggi tutti gli articoli su Takuya Murata pubblicati sul sito Kendo nelle Marche

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